sabato 20 giugno 2009

Riflessioni sulla Follia

La relazione tra originalità, cioè originalità nel modo di presentarsi e di pensare, e la follia intesa come malattia mentale e disagio psichico è un rapporto che ha trovato diverse risposte nei differenti periodi storici e nelle diverse culture: è stato dibattuto a livello filosofico, nell'antica Grecia da filosofi come Platone e Aristotele; poi assimilato al concetto di psicosi, dai pensatori razionalisti dell' Illuminismo, per poi subito dopo diventare l'inscindibile binomio creatività-follia con l'irrazionalismo proprio dell'epoca romantica. Successivamente, con l'avanzare delle scienze, durante l'era del positivismo la genialità è stata accomunata a una strana forma di follia morale dal medico Cesare Lombroso (inventore dell'antropologia criminale) nel suo saggio "Genio e Follia".
Nel secolo scorso, segnato da due guerre mondiali, siamo arrivati addirittura a considerare tutti gli uomini un po' inclini alla follia e addirittura a considerare i pazzi come le persone più consapevoli della "malattia" che è insita nella vita stessa, come la pensava Italo Svevo.
E' giusto parlare della follia, dei metodi di cura e della concezione del fenomeno?
Penso che, per quanto potremmo parlare sull'argomento, non riusciremo a dare una risposta esaustiva...
Non vi sembra che oggi chiunque esca un minimo dai canoni prestabiliti viene considerato un pazzo o almeno un disadattato? E per questo deve essere deriso o addirittura emarginato?
La società moderna apparentemente incoraggia l'originalità e la diversità, ma poi si contraddice proponendoci modelli ed espressioni da adottare per risultare "conformi", "adeguati" a questa società che fa dell'apparenza il più alto dei valori, insieme al denaro ovviamente... o siamo noi stessi a contraddirci...
Potremmo mai riuscire a cambiare questa società che a tutti noi non sembra mai adeguata alle nostre esigenze o modificare noi stessi per poi ricominciare da zero?
Forse l'unico modo possibile è che si avveri la profezia che Zeno Cosini scrive alla fine della sua autobiografia come risultato del suo travagliato viaggio all'interno del suo animo (vedi post "Malattia")?
Oppure ci abbandoniamo ai nostri istinti e distruggiamo tutto ciò che l'umanità ha costruito con tanta fatica nel corso dei millenni? E' tutto da buttare?
Questo non è assolutamente vero!
Io credo che l'unica forza in grado di cambiare questa situazione così sgradevole sia l'auto-critica che ha guidato il processo evolutivo della specia umana nel corso della sua esistenza, sia nel campo scientifico che in quello umanistico.
Ma rimango comunque pessimista sulla volontà di cambiamento che purtroppo è propria solo delle vittime di questo sistema le quali hanno una voce troppo debole (i potenti non vogliono cambiamenti) e non sono in grado di elevarsi al di sopra del grigiore di questa società di massa, anzi la costituiscono, vi rimangono intrappolati e vi si sentono soffocare.
Abbiamo creato da soli la nostra gabbia, ma siamo troppo deboli per forzarla... che la follia sia l'unica chiave per farci uscire?

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